Questo weekend siamo andati in campeggio. Saliamo e scendiamo le scale trasportando zaini di roba, piumone e cuscini, delle tenaglie lunghe un metro che abbiamo trovato una volta in un bosco. Durante il trasporto incontriamo il vicino che ci racconta di quando era giovane e andava in bici, e una volta ha messo la tenda e la mattina dopo si e’ accorto che era su un ruscello, e di quando una tempesta di lampi gli ha ricordato casa, nella stagione dei monsoni.
Stipiamo la macchina e partiamo verso la nostra destinazione: Bridge of Orchy. Oggi il cielo e’ grigio e non riflette i colori, mi sembra un quadro a luce spenta. In un posto trovo un’atmosfera.
Siamo arrivati e troviamo il nostro angolo di paradiso, noi che in paradiso c’e’ un fiume e vicino terra asciutta. Piantamo la tenda come un fiore senza radici, legata al suolo dalla promessa di restarci, otto picchetti e quattro dita incrociate.
Una volta sistemata l’abitazione andiamo a esplorare i dintorni. L’acqua ha scavato nelle rocce come il coltello nella Nutella quando lascia sentieri rotondi e morbidi, c’e’ armonia in questa erosione. Io e Colin riempiamo gli spazi coi nostri corpi e saltiamo tra i sassi sull’acqua, ma arriva la pietra che mi ferma il passo, c’e’ un po’ di rischio di scivolare. Chiedo alla mia paura di spostarsi un po’, vorrei provarci ma ogni volta mi ferma, e’ come un muro, ci sbatto contro e rimango qui, dall’altra parte. Per aiutarmi Colin si allunga e poi, eroico, finisce in acqua, in questo fiume che e’ cosi’ freddo che da trent’anni ne sembra cento, sulla sua faccia tutte le rughe di un mondo freddo. Pero’ che bello, sono passata! E andiamo insieme ad esplorare questa cascata.
Torniamo al campo, sembra preistoria: Colin fa il fuoco, io taglio verdure per cena. Mangiamo spiedini vegetariani, funghi ripieni di formaggio, patate al cartoccio col tonno. Per vedere cosa succede buttiamo anche un uovo nel falo’.
E’ ora di andare a dormire, ci rifugiamo in tenda. Questa tenda ce l’ha imprestata un giorno un amico che forse pensava di riceverla indietro. E’ una tenda italiana senza pretese, impotente di fronte alla pioggia scozzese che inizia a cadere sempre piu’ forte appena ci sistemiamo al riparo. Non fa freddo ma il tempo fuori e’ davvero selvaggio, il vento ulula e piove sempre di piu’, inizio a pensare che la tenda volera’ via, si tratta di una concreta preoccupazione visto che ogni volta che il vento soffia la tenda si flette cosi’ tanto che le sue pareti mi toccano, sembra un sudario. Posso seguire i movimenti del vento a seconda della provenienza della tenda, che mi copre prima da sinistra e poi mi attacca partendo dai piedi. Passano ore in cui mi rigiro e ignoro la voce della vescica che sussurra, declama e poi grida PIPI’. Alle due e mezza mi alzo, indosso i vestiti bagnati e puzzolenti di fumo, esco. Le scarpe le avevo lasciate fuori, indossarle e’come infilare il piede nel water. Al mio ritorno Colin in preda al delirio da campeggiatore urla con gli occhi iniettati di sangue che non ho chiuso bene la tenda ed e’ tutto bagnato! La sua espressione disperata da tragedia greca ottiene il risultato di farmi ridere tantissimo. Alla fine in qualche modo riusciamo a dormire, siamo lombrichi nel sottosuolo.
La mattina ancora piove, abbandoniamo il campeggio e i progetti di scalare una montagna. Solo una cosa ci puo’ salvare da questo mondo umido e ostile.